Un week-end da Don Rosa

di Francesco Stajano

Questi sono appunti a me stesso, scritti molto alla buona, di cose dette, fatte e scoperte in un week-end da Don. Non sono granché rielaborati, non sono in ordine né cronologico né di importanza. Mischiano cose frivole e cose importanti. Servono principalmente per farvi partecipi dei due meravigliosi giorni che ho passato da Don come emissario della squadra degli autori del libro.

Sono arrivato venerdì sera (15-11-1996) verso le 21:30 (un'ora e passa di ritardo, 2:30 di notte nel mio fuso orario di partenza) all'aereoporto di Louisville (pronuncia dei locali: lùvl). Don e Ann, sua moglie, mi sono venuti a prendere e volevano portarmi a un ristorante, ma ho chiesto un fast food per poter andare a letto prima. Casa loro è a una mezz'ora di automobile dall'aeroporto, in mezzo al verde. La casa è su un appezzamento di prati e boschi di 10 ettari (nel Kentucky i terreni costano poco, mi spiega Don). A casa, poi a letto. Tre cani bassotti, Hillary, Daisy e Chloe, un canarino e un simpaticissimo e amichevolissimo cacatua bianco di nome Gyro al quale mi sono affezionato tantissimo. Lungo 30-40 cm, becco nero, occhi marroni. Ha una "corona" di penne che tira su di tanto in tanto; quando è contento saltella su e giù con la testa. Vuole essere al centro dell'attenzione e se non gli dai retta caccia dei gridi pazzeschi con un'ugola progettata per farsi sentire da un lato all'altro della giungla.

Sabato: prima, visita alla "comic vault", la stanza sotterranea dove Don tiene la sua collezione di comic books USA di tutti i tipi, anche quelli che come storie non lo entusiasmano. Ha persino una collezione completa (tipo 20 o 30 anni) di quei giornalini settimanali tipo "Telesette" che ti dicono cosa c'è in televisione stasera! Poi breve visita nel suo studio, ma dopo poco andiamo via perché dobbiamo uscire prima che chiuda l'ufficio postale. Di solito il sabato è l'unico giorno della settimana in cui Don esce di casa per fare commissioni e altre cose. Cosa facciamo? Ufficio postale, supermercato (una specie di parco divertimenti: temporali finti sulle verdure, pirata-robot tipo Capitan Findus al reparto del pesce che ti apostrofa e ti dice varie stupidaggini, vecchietta che ti rifila assaggini gratis di tartine, ecc). Ah, dimenticavo di citare la macchina di Don, che è un catorcio americano d'epoca simpaticissimo, una Dodge del 1948. Don non accende il riscaldamento perché il meccanismo è vecchio e lui ha paura che si rompa, lasciandolo... senza riscaldamento! La targa è COMICS.

Poi andiamo in un ristorante panoramico dove mi offrono un Hot Brown (specialità locale, buono, enorme); andiamo a un comic book store (mia richiesta) dove lavora Shawn Hamilton, un ragazzo 20-25enne che sta facendo l'indice di tutte le cose di Don. E' un tipo simpatico, paffutello e alla mano: gli propongo di fare una appendice per il nostro libro, è contento, manderà quello che ha e anche fotocopie delle parti significative dei fumetti pre-disney che ha indicizzato. Lunga chiacchierata con lui e Don. Compro un po' di giornalini. Shawn, come politica del negozio, ha messo in un cartone a parte quelli con roba di Don, per fortuna, quindi scelgo da quelli. Questi dannati giornalini americani stanno sempre imbustati come il prosciutto, per cui non puoi aprirli per vedere se ci sono storie che ti piacciono. Quindi lascio perdere l'esame degli altri, anche perché non abbiamo tempo infinito (la povera Ann freme, impotente ma rassegnata...) Don stima Shawn perché secondo lui è un comic fan di quelli come si trovavano negli anni '70, che non colleziona i giornalini per il loro valore sul catalogo Overstreet ma perché gli piacciono.

Poi andiamo alla biblioteca pubblica dove Don prende gli "audiolibri" in cassetta, per lo più romanzi, che ascolta mentre disegna (non ha tempo di leggere altrimenti). Don è un grande collezionista di fumetti -- per la precisione, di comic books. Ha una stanza sotterranea con scaffali metallici dappertutto, non solo lungo le pareti ma anche in mezzo alla stanza. Sugli scaffali ci sono ordinatissime scatole di cartone grigio che raccolgono le varie serie di comics. Dentro le scatole, giornalini imbustati. "Prima non imbustavo, resistevo a questa mania perché, come dici tu, poi c'è troppa resistenza da superare prima di tornare a sfogliarli. Ma poi, qualche anno fa, mi sono accorto che ogni volta che rimettevo i giornalini a posto mi rimanevano dei pezzetti di carta sul tavolo e allora ho deciso di iniziare a proteggerli." Le scatole sono tutte rigorosamente etichettate, con colori diversi a seconda dell'editore. Che tipo di collezionista è Don? Attualmente dice di aver smesso di collezionare da una decina d'anni, quindi forse questa roba andrebbe detta al passato. Comunque è un tipo di collezionista diverso sia dal "lettore puro" (che colleziona storie per leggerle, con scarso interesse per l'albo su cui sono stampate) che dai "collezionisti consapevoli" (che collezionano albi di una certa serie, se li leggono con gusto ma si appassionano anche a quella particolare edizione d'epoca, con quella carta, di quella rarità eccetera). A Don piace (piaceva) il fatto in sé di collezionare fumetti, di andare in cerca del pezzo mancante e scoprirlo col fiuto e l'acume del conoscitore, a prescindere, al limite, dalle storie. Vedo in lui l'incarnazione più perfetta di quello che su IF n. 6 chiamo "Istinto di Derivata Continua". Gli piace completare la collezione di una certa serie anche se alla fine poi non se la legge. Non sopporta il collezionismo di "edizioni limitate" fatte apposta per i "collezionisti", tipo ad esempio i pacchi di carte/figurine, perché tolgono tutto il gusto: il bello, per lui, del collezionare le figurine, è proprio la ricerca dei pezzi mancanti. Insomma, Don ama il collezionare come piacere astratto in sé. Quelli che lui non sopporta sono gli investitori, quelli che compravendono per soldi o comunque pensando al valore monetario dei fumetti. E poi gli sta sullo stomaco anche l'attuale stato di cose in cui uno può, dati abbastanza soldi, andare comunque da un rivenditore e farsi dare i numeri che vuole. Non vuole a tutti i costi lo stato "da edicola" e simili stupidaggini. Naturalmente non vuole pagine mancanti o stracciate, però gli vanno bene i numeri "vissuti". Secondo lui il prezzo giusto per un comic book usato è metà del prezzo di copertina. Per lui, le valutazioni milionarie (in lire, intendo) sono assurde. Ha albi "milionari", ma non glie ne importa nulla. Ha una visione a volte idealistica del rapporto fumetti-soldi, però bisogna riconoscere che non è uno di quelli che predicano bene e razzolano male. Dice così, ma ci crede ed è quello che fa. In passato ha rivenduto albi "cari" a metà del prezzo di copertina perché il guadagnarci sopra gli sarebbe sembrato un inquinare il suo hobby. Su internet o via carta, Don risponde sempre a tutte le lettere che riceve. Tratta con molto rispetto la gente che gli scrive.

Fa sempre un sorriso idiota da dentifricio quando viene fotografato perché non gli piace posare. Una volta un fotografo gli ha chiesto: adesso dovresti metterti questa maschera da Paperino e io ti fotografo. E Don: ok, ma solo se poi io posso fotografare te senza pantaloni! Se tu mi devi mettere in imbarazzo e farmi sentire un coglione, allora anch'io ti faccio altrettanto. Inutile dire che il fotografo ha capito e rinunciato.

Importantissimo per lui è il fatto che i personaggi, anche se disegnati come funny animals, sono persone. Fin da piccolissimo (4 anni?) disegnava, non solo e non tanto disegni ma soprattutto storie. Aveva già allora una fortissima pulsione in questo senso. Gli andava tantissimo di raccontare storie, anche se solo a se stesso. Anche adesso dice lo stesso: "una storia deve anzitutto piacere a me. Per il resto mi importa poco. Avevo fatto una storia per un editore, avevo mandato le tavole inchiostrate, se le erano perse, mi avrebbero ripagato per rifarle ma io ho detto no, non mi interessava, ormai quella storia me la ero già raccontata." Dopo il negozio di fumetti e la biblioteca facciamo un po' di turismo: passiamo dalla casa del nonno di Don (il famoso Gioacchino/Keno, fondatore dell'azienda familiare di piastrelle). Gli chiedo poi se possiamo vedere il fiume e in particolare la zona del porto rappresentata nel capitolo 2 della "Life of $crooge". Ci andiamo, ma mi preannuncia che di quelle scene in pratica non si vede niente. Le cascate del fiume Ohio non sono cascate ma rapide (lo dice anche nei suoi commenti pubblicati insieme alla saga) e gli "alberghi" in riva al fiume sono ben diversi da quelli da lui raffigurati: sono degli squallidi edifici moderni. Rimane, comunque, ancorata lungo il fiume, la "Belle of Louisville", una barca a pale che ora è considerata una specie di monumento nazionale. La vediamo, da fuori.

Don, come forse ho accennato, è molto grato ai suoi ospiti italiani, che lo hanno accolto l'anno scorso a Lucca e a Firenze, e ha deciso di manifestare questa gratitudine trattando con i guanti bianchi il sottoscritto, "rappresentante" degli italiani di cui sopra; questo comporta, fra l'altro, il portarmi nei più vari ristoranti. Avendo stabilito che per me è più divertente tentare di gustare le specialità locali anziché andare in un ristorante messicano, cinese o (non sia mai) pseudo-italiano, ed essendo la cosa più famosa del Kentucky il pollo fritto, il famoso Kentucky Fried Chicken, Don per fare le cose in grande stabilisce di portarmi al ristorante capostipite, quello gestito dalla moglie del colonnello Sanders (creatore del KFC). Ci rechiamo dunque, all'imbrunire, in questo posto dimenticato da Dio e dagli uomini (fuori cartina al massimo grado, km e km di macchina). Lungo il tragitto mi chiede qualcosa sui fans italiani; non è però che io abbia notizie di prima mano, perché mi ero già trasferito in Gran Bretagna quando hanno cominciato a pubblicare regolarmente le storie di Don in Italia, ma nonostante i miei scarsi contatti gli posso dire che c'è un grandissimo interesse, non foss'altro perché in Italia Paperone, Paperino e soci sono ormai parte della cultura nazionale: ogni tanto compaiono persino al telegiornale e quindi se viene fuori una cosa significativa come la "Life of $crooge", la gente la commenta. Finalmente arriviamo a questo ristorante di Claudia Sanders che si rivela non all'altezza della reputazione che lo precede. La roba mia era discreta, ma il piatto di Don è un mezzo schifo ed è freddo. L'indomani Don si sente male ed è convinto di essere stato avvelenato in questo spaventoso ristorante.

Sempre per la serie "facciamo assaggiare al nostro ospite un sacco di cibi prelibati", la mattina di domenica mi vengono offerte delle ottime frittelle; anzi, macché frittelle: pancakes spesse un centimetro l'una, proprio come nei comics, impilate a cilindro una sull'altra e con lo sciroppo d'acero sopra, alla Qui Quo Qua: squisite, oltre che pittoresche. La sera, poi, un'ottima bisteccona da 6 megatoni. Don è stato di una ospitalità e disponibilità mostruose. Sono purtroppo rimaste fuori, però, alcune cose importanti che avevo in programma.

La mattina di domenica, dicevamo, mi ha lasciato per un'oretta nel suo studio a leggermi la sua storia in lavorazione, quella per il cinquantenario di $crooge, "A little something special". Da una parte una pila di fogli delle dimensioni di un comic book, in formato verticale, con i suoi schizzi di layout ed i testi dei fumetti, nonché le correzioni a pennarello dopo aver parlato con Byron Erickson; dall'altra una pila di cartoncini bristol, in formato orizzontale, ciascuno poco più grande di A4, con le semi-tavole a matita della storia definitiva. Inchiostrati i bordi delle vignette, tutto il resto solo a matita. E lì la rivelazione, specie con la semipagina di apertura. Non vorrei esagerare e creare chissà quali aspettative, ma sinceramente sono rimasto allibito quando ho visto quei Paperone e Miss Paperett così puliti, nitidi, freschi e ...barksiani.

Per quanto riguarda la tecnica di Don: prima butta giù le idee, e le annotazioni delle ricerche bibliografiche, su un quadernone a spirale. Poi fa il layout su dei fogli tipo A4. Ne ha una serie, prefotocopiati, con varie scansioni di quadretti: 4 strisce da 2, una quadrupla e 2 strisce da 2, una doppia e tre strisce da 2, eccetera. Naturalmente tutte queste "formine" possono poi essere usate anche al contrario, raddoppiando le possibilità. Questo copre la maggioranza dei casi e così Don non deve perdere tempo a quadrettarsi il foglio mentre butta giù lo storyboard. Poi questi fogli vengono faxati o spediti a Byron Erickson, editor della Egmont, che pubblica in prima battuta i suoi fumetti per il mercato europeo. A lui piace che Byron si legga la storia come se fosse un giornalino, con la suspence di non vedere la fine finché non ci arriva. Dice che non gli viene naturale fare altrimenti. Vuole che i commenti gli vengano da uno che ha letto la storia nel modo in cui egli (Don) la immagina proiettata. Quando Byron ha letto la storia, gli telefona (sic! per fortuna paga la Egmont!) e la rivisitano insieme, più o meno quadretto per quadretto, commentando le varie cose da cambiare se ce ne sono. Don si annota le modifiche a pennarello sulla sua copia. Una volta che lo storyboard è ok, si passa alle matite: infine si passa all'inchiostratura.

Lo studio di Don è una specie di grande monolocale appartato, all'altro capo della casa rispetto alla zona abitativa. Ha un bagnetto, un divano con mega-televisione e laserdisc per i film, un tavolo da disegno, alcune scrivanie, alcuni schedari. Non c'è il computer, che è dall'altra parte della casa, nella biblioteca, e non c'è la collezione di comics, che è nel già citato sotterraneo, anch'esso dall'altra parte della casa. Di fumetti ci sono solamente i trenta volumi della CBL e, negli schedari, tutte le varie edizioni mondiali delle cose fatte da Don (o per lo meno quelle che editori e/o fan si degnano di mandargli). Ma in quantità industriali, proprio a centinaia e centinaia, ci si trovano pupazzi di Paperino e Paperone di ogni foggia, dimensione e materiale: dalle figurine di plastica tipo soldatini, a quelle in ceramica, raccolte in teche di vetro tipo museo, ai bambolotti alti mezzo metro, ai pupazzetti di pelouche che, forse per mancanza di spazio altrove, sono parcheggiati sui bordi dei gradini della scala che porta allo studio. C'è persino una perfetta monetina "numero uno" comprensiva di cuscino di velluto e cupola di vetro: una vera moneta USA da 10 cents del 1875, tutta consumata. Ne ha regalata una uguale anche a me! Vediamo se riesco a trovargli una cupola come la sua...

Nota interessante: su un quadernino di quando Don aveva 5 o 6 anni scopro uno sgorbietto che, per quanto rozzo e primitivo, è inequivocabilmente Donald Duck. Glielo mostro. "Eh sì, è proprio lui! Forse è il primo che abbia mai disegnato". "Don, ma tu quindi a 5-6 anni eri già appassionato di Paperino, tanto da andare a ridisegnartelo con una certa cura nei tuoi quadernini?" Risposta: "beh sì, io leggevo i giornalini della mia sorella maggiore, cioè un sacco di Paperini e Paperoni, e mi piacevano moltissimo. Quindi in pratica io leggevo Barks, perché non erano i giornalini "miei coetanei" bensì quelli di 10 anni prima. Poi, nell'adolescenza, cambiai tipo di letture per andare sui supereroi; mi capitò di comprare dei paperi, ma non c'era più Barks (anche se io non lo sapevo) e vidi che non mi piacevano più. Pensavo che fosse perché ero diventato grande e ora mi interessavano i giornalini 'da grandi'. Non pensavo che fosse perché i giornalini dei paperi non erano più quelli di una volta". Mi faccio raccontare altri dettagli del periodo pre-disney; poi, dopo un'intervista a tre con Leonardo Gori via Internet, la mia visita si avvia alla conclusione. Il mio biglietto aereo stava per trasformarsi in una zucca e quindi ho dovuto smettere. Questo taccuino lo tengo come piacevole ricordo e spero che sia utile anche a voi per un quadro d'insieme sul personaggio Don.


Questo è un "diario di bordo" che scrissi in occasione della mia visita da Don per preparare il libro. Non è stato pensato per la pubblicazione: nasce come note personali e come racconto a beneficio degli altri autori rimasti in Italia.
© 1996 Francesco Stajano